Ogni scultura è un corpo, ma anche un campo di forze. Le opere che concepisco per lo spazio — pubblico o interiore — nascono dall’ascolto del luogo, dal desiderio di abitare il vuoto con una presenza che non imponga, ma evochi.
Il mio lavoro è una ricerca sul limite e sull’equilibrio: tra struttura e vibrazione, peso e levità, permanenza e trasformazione. Attraverso metalli lavorati a mano, ossidi, pigmenti e combustioni, cerco di rendere visibile l’energia che attraversa la materia, di dare forma all’invisibile. La scultura diventa così un dispositivo percettivo, un punto di attrazione, ma anche un varco.
Sono interessato alla relazione tra l’opera e lo spazio che la circonda: come dialoga con la luce, come si offre al tempo, come accoglie lo sguardo. Le mie installazioni non si limitano a occupare un luogo: lo rivelano, lo interrogano, lo trasformano.
Ogni elemento è parte di un racconto più ampio, una forma archetipica che, pur nella sua concretezza, aspira a diventare simbolo. È in questo intreccio tra presenza fisica e tensione spirituale che si gioca il senso delle mie sculture: presenze mute, eppure profondamente narrative.